“Come faccio a dare regole?”
Se sei un genitore immagino che questa domanda ti sia balenata in mente parecchie volte. Il tema delle regole è un dilemma che si presenta dai primissimi anni di vita del/la bambino/a e accompagna la vita famigliare fino alla maggiore età (e più!).
Avere dei limiti e dei confini è molto importante, non solo per i/le bambini/e ma per tutto il sistema familiare, perchè consente di vivere in un clima equilibrato e stabile.
Le regole sono necessarie perchè aiutano a convogliare le energie all’interno di confini stabili: soprattutto in tenera età il/la bambino/a ha bisogno di sentirsi libero/a di sperimentare ma protetto/a da argini sicuri.
Nonostante questa premessa, spesso stabilire delle regole in famiglia può essere molto complicato. In questo articolo ti racconterò quali sono le principali difficoltà che i genitori incontrano nel costruire le regole e, successivamente, vedremo assieme quali sono le “regole per costruire regole efficaci”.
Ci sono varie difficoltà che la coppia genitoriale incontra nel momento in cui deve stabilire dei limiti:
Può capitare che i genitori abbiano uno stile educativo diverso o che su un determinato argomento non siano in accordo. Spesso, uno dei due genitori assume il ruolo di persona più permissiva e l’altro di persona più normativa. I bambini e le bambine, soprattutto nei primi anni, non sono in grado di comprendere la relatività dei punti di vista. In questa situazione, la regola non viene interiorizzata.
Se le fonti di informazione più importanti danno versioni diverse, le regole stesse diventano discutibili. Quando queste dinamiche sono molto presenti in una famiglia, i bambini e le bambine crescono in un ambiente confusivo in cui sperimentano poca chiarezza e senso del limite. Inoltre, sarà più facile che il bambino, nel momento in cui si trova in difficoltà di fronte ad una regola, imparerà ad andare a rifugiarsi dal genitore che non trova fondamentale quella regola, creando disequilibrio.
Se accordarsi tra genitori sul contenuto della regola è la prima difficoltà per stabilire degli argini educativi, la seconda è quello di mantenere la regola. In questa fase occorre fermezza e coerenza da parte dei genitori. Bambini/e e adolescenti sono molto bravi nel mettere alla prova questi confini, per questo è fondamentale che i genitori abbiano chiaro l’obiettivo della regola che hanno stabilito, in modo che questa non venga messa da parte ogni qualvolta il proprio figlio piange o quando il genitore si sente in colpa.
Per educare un/a bambino/a, i genitori devono essere loro stessi i primi a non infrangere i patti e le regole che hanno stabilito.
Un altro frequente errore che viene messo in atto è quello di non comunicare in modo efficace la regola. “Devi essere ordinata!”, “Non fare il cattivo” sono due esempi di regola poco chiara perchè non trasmettono l’idea di che cosa voglia dire essere ordinati e buoni o cattivi.
Spesso in questo errore rientrano anche i toni della comunicazione: urlare con rabbia una regola non aiuta ad interiorizzarla e rispettarla perchè bambini e bambine potrebbero vivere quel momento con rabbia e frustrazione, opponendosi.
Ora che abbiamo visto quali sono gli errori più frequenti che vengono messi in atto nel processo di costruzione e mantenimento della regola, vediamo assieme quali possono essere delle “regole per costruire le regole efficaci”:
Il miglior modo per aiutare i tuoi figli a rispettare e condividere le regole di casa è quello di essere un d’esempio: bambini e bambine imparano tramite l’imitazione dei più grandi, soprattutto se sono figure importanti per loro.
E’ inutile inculcare dettami e ordini ai tuoi figli: non ti ascolteranno e finiranno per avere una visione negativa di te. Le regole, affinchè siano condivise, devono essere poche, semplici e adatte al livello di comprensione del/la tuo/a bambino/a.
Come abbiamo detto in precedenza bambini e bambine, soprattutto se piccoli, non riescono a comprendere le indicazioni generiche come “fai il bravo” o “non essere maleducata”. Come ci ricorda Piaget, la loro intelligenza, soprattutto fino ai 12 anni è di tipo sensoriale, motorio e concreto.
Per questo motivo le istruzioni dei genitori devono essere più concrete possibile.
“Quando finisci di giocare metti via i giochi perpiacere”, “Se la nonna entra dalla porta è importante salutarla”, sono degli esempi.
Come possiamo aver osservato all’asilo nido e alla scuola materna, spesso i modelli educativi sono basati su attività e rituali stabili e uguali ogni giorno.
Allo stesso modo, per fare in modo che il/la tuo/a bambino/a segua più facilmente le tue regole, occorre che siano coerenti e stabili nel tempo.
Per fare in modo che bambini e bambine comprendano le regole che diamo, è necessario che anche le conseguenze che mettiamo in atto alla loro infrazione seguano le 4 regole che abbiamo appena visto.
Inoltre anche la “tematica” deve essere coerente. Se nostro figlio infrange la regola del riordino dei giochi, la punizione dovrà riguardare il gioco e non, ad esempio, la visione della televisione.
Spero che questo articolo sulla costruzione di regole efficaci in famiglia ti sia stato utile.
Se al termine della lettura dovessi avere dei dubbi non esitare a contattarmi.
Dott.ssa Evelyn Bettini, psicologa.
Via Dietro le Mura B, 13 Trento.
Jean Piaget La nascita dell’intelligenza nel fanciullo, Firenze, Giunti-Barbera universitaria, 1968.
Le figure dello psicologo e dello psicoterapeuta sono ancora misconosciute e spesso ostacolate da pregiudizi, stereotipi e paure.
A differenza di quello che accade epr altre figure sanitarie (nutrizionisti, dietologi, logopedisti) che si occupano di salute, il mondo della psicologia è ancora ricco di falsi miti e credenze che ostacolano le persone ad occuparsi del proprio benessere.
“Lo psicologo è solo per i matti”
“Che ci vai a fare dalla psicologa? Puoi parlarne con un’amico/a!”
“Non mi va di andare da uno psicologo perchè durerà anni e sarà molto costoso!”
Quante volte abbiamo sentito queste frasi?
Questi ostacoli spesso proibiscono alle persone di chiedere l’aiuto di un/a professionista.
Nel momento in cui sentono i primi malumori, malesseri o sintomi negativi tendono ad ignorarli, a sviare, a voler “fare da soli”.
Gli stereotipi e i sensi comuni nel campo della psicologia sono ancora molti, in questo articolo mi pongo come obiettivo quello di analizzarli insieme a voi, per cercare di smontarli e costruire una visione più costruttiva della psicologia.
Nella nostra società è fortissima l’idea (soprattutto nel genere maschile) che parlare di sè e delle proprie emozioni sia qualcosa per “deboli”.
Questa concezione si sta scardinando sempre di più (finalmente!), ma purtroppo persiste ancora, soprattutto nelle realtà più chiuse come le piccole valli o i paesini.
Non occorre andare troppo lontano per accorgersi che questa idea tocca tutti noi, in fondo ognuno di noi, chi più chi meno, ha il timore di essere giudicato. Se tornate un po’ indietro con la memoria vi accorgerete che il sistema educativo ha sicuramente una parte di responsabilità: per anni, fin da piccoli, a scuola hanno posto l’accento su ciò che sbagliavamo, evidenziando bene in “rosso” i nostri errori, non certo le nostre qualità.
Insomma, per troppo tempo ci hanno fatto credere che è sbagliato sbagliare.
Ma, da quello che noto come psicologa, è che il mio studio non è frequentato da deboli, ma da persone coraggiose e sensibili che hanno il coraggio di accettare e superare i propri limiti, impegnandosi a fondo e mettendosi in elevata discussione.
Un’altro luogo comune sulla figura dello psicologo è che possa essere equiparato allo sfogo che si ottiene quando si parla con un confidente.
Ma cosa lo differenzia da un amico? Vediamolo assieme…
Un altro profondissimo luogo comune nel campo della psicologia, che spesso ostacola una persona dal rivolgersi al professionista, è l’idea comune che un percorso psicologico debba durare per molto tempo.
Se agli inizi di questa professione (primi decenni del 900) questa idea poteva trovare fondamento nella quotidianità, ora le cose sono profondamente cambiate.
Le tecniche e gli strumenti in campo psicologico, pedagogico e psicoterapeutico si sono notevolmente aggiornati ed arricchiti permettendo anche la costruzione di percorsi di consulenza brevi e focalizzati.
Inoltre, la durata di un percorso psicologico deve essere scelta e negoziata dalla persona che richiede un intervento: nulla viene deciso senza la tua volontà.
In questo articolo ho raccontato tre tra gli stereotipi più diffusi nel campo della psicologia che rendono le figure dello psicologo e dello psicoterapeuta ancora misconosciute.
Se leggendolo ti sei riconosciuto in qualcuna di queste situazioni oppure se ti sono venuti alla mente delle vicende in cui hai assistito alla diffusione di questi stereotipi, ora sai anche tu come controbattere.
Se, al contrario, ti è rimasto ancora qualche dubbio, non esitare a contattarmi!
Dott.ssa Eveyn Bettini
Psicologa - Trento
tel: +39 349 6837290
In questo articolo troverai dei consigli utili per allenare la gestione delle emozioni nei bambini, capacità che viene chiamata consapevolezza emotiva.
Nel mio precedente articolo (emozioni amiche o nemiche) vi ho parlato delle emozioni e di come essere possano essere considerate delle amiche o… delle nemiche, se sfuggono al nostro controllo.
Avete mai visto un bambino piccolo cadere?
→ Se avete osservato bene, la prima cosa che farà, prima di piangere, è osservare la reazione dell’adulto vicino a lui. Se mamma o papà si agitano, fanno una faccia preoccupata, il bambino inizierà a piangere e disperarsi.
→ Se, al contrario, l’adulto si mostra tranquillo, anche il piccolo riuscirà con più facilità a reagire senza panico.
Questo accade perchè da così piccini la consapevolezza emotiva è poco presente: i figli dipendono in tutto e per tutto dai genitori e anche dal punto di vista emotivo, osservano tantissimo quello che accade loro attorno. Apprendono tramite l’imitazione, per questo genitori, nonni, maestri e maestre, hanno un importantissimo ruolo regolativo e imitativo nella gestione delle emozioni.
La consapevolezza emotiva (anche chiamata intelligenza emotiva o autoregolazione emotiva) è intesa come la capacità di individuare, riconoscere e nominare le proprie emozioni. Essa è una competenza e, come tale, può essere allenata, insegnata e promossa nella vita di tutti i giorni.
Spesso viene paragonata all’imparare a scrivere, per questo viene chiamata anche alfabetizzazione emotiva.
Essa consiste in tre processi:
Come con il riconoscimento dei colori, in cui si inizia a nominare per primi quelli base (rosso, giallo, verde..), allo stesso modo i bambini imparano a riconoscere prima le emozioni fondamentali (felicità, rabbia, paura, tristezza..) per poi individuarne le sfumature e i vissuti più specifici.
Poter informare gli altri dei nostri vissuti emotivi permette ai nostri interlocutori di rispettarci e di comprendere i confini da dare alla comunicazione. È una competenza fondamentale per imparare a comunicare e relazionarsi in modo costruttivo.
Come può un adulto facilitare l’acquisizione di questi tre processi?
Ecco per voi qualche consiglio pratico.
→ In quella situazione occorre fermarsi per validare e normalizzare il suo vissuto.
Prendiamo un esempio: siamo al parco con nostro figlio ed è arrivato il momento di andarsene. Il piccolo inizia a piangere e punta i piedi per rimanere. In questi casi spesso si vedono e si sentono i genitori dire: “Dai non piangere ci torniamo domani!”. In questo modo, anche senza volerlo, trasmettiamo un messaggio ai nostri figli, ovvero il fatto che quello che stanno provando non va bene, è esagerato e fuori luogo. Potrebbe invece essere più utile dire: “Mi sono accorta che in questo momento sei triste. Sai è normale provare tristezza quando dobbiamo interrompere un’attività che ci piace”.
In questo modo diamo la libertà al bambino di provare ed esprimere l’emozione, di avere una parola per nominarla (perché lo abbiamo fatto noi per primi) e, soprattutto, gli offriamo la disponibilità di poterci avere come supporto per gestire la situazione.
Alcune strategie che si possono usare per manifestare rabbia, sconforto, tristezza, oltre alla vicinanza che possiamo offrire in quanto adulti potrebbero essere:
Potrebbe poi aiutare porre delle domande al bambino per promuovere una riflessione interna e poi dialogata sul suo stato emotivo di quel momento o durante la giornata. “Come sei stato oggi? Cosa hai provato dentro di te quando giocavi all’asilo? Quando hai salutato i tuoi amici cosa hai pensato? …”.
Infine, se l’età dei vostri figli è superiore agli 8/9 anni l’idea del diario confidente può essere molto utile.
Buon lavoro!
Se dopo la lettura di questo articolo fosse sorto qualche dubbio o la curiosità di approfondire e individuare strategie specifiche alla tua situazione, non esitare a contattarmi.
Dott.ssa Psicologa Evelyn Bettini – Trento
tel. +39 349 68 37 290
Studio: Via Dietro le Mura B n. 13 – Trento
Nel mio precedente articolo emozioni amiche o nemiche ti ho parlato di cosa sono le emozioni e di come esse possano essere considerate una risorsa… oppure trasformarsi in una brutta compagnia per le tue giornate.
In questo articolo vedremo insieme 5 consigli pratici per imparare a gestire le proprie emozioni.
Questi consigli sono rivolti a chi sente di non conoscere abbastanza sè stesso e i propri sentimenti e a chi trova difficoltà nell’esprimere ciò che prova..
Al contrario, non sono rivolti a chi soffre di problematiche come ansia, depressione o presenta dei sintomi invalidanti. In questi casi consiglio caldamente di rivolgersi ad un professionista della salute, per mettere a punto un progetto personalizzato di sostegno.
Veniamo a noi, ecco qui i cinque consigli per gestire le proprie emozioni:
Proviamo a fare un semplice gioco:
Non pensare all’elefante blu
Assolutamente non pensare all’elefante blu.
Non pensare all’elefante blu.
A cosa hai appena pensato?
Non avevo dubbi, hai pensato all’elefante blu! Questo accade perché ogni qualvolta proviamo a controllare, bloccando, pensieri e stati che noi consideriamo negativi… essi finiscono per assumere più potere, facendoci sentire inerti e passivi di fronte ad essi.
Le emozioni sono uno stato di attivazione fisica e psicologica che avviene in maniera immediata, sia su base innata (le emozioni sono adattive a livello evoluzionistico) sia su base individuale, perché la loro attivazione viene influenzata dall’interpretazione soggettiva che diamo ad un evento o ricordo.
Proprio per questo motivo pensare di poterne avere il controllo al punto tale da eliminarle è… impossibile!
Le emozioni si possono incanalare… ma smetti di valutare che si possano cancellare!
Proprio questo è il modo migliore per dare a loro il potere e farle diventare le tue peggiori nemiche.
Le emozioni vanno accolte e ascoltate. Questo è il primo passo da fare.
Il secondo passo che puoi intraprendere per gestire le tue emozioni è dedicare del tempo a riflettere, e sperimentare.
Che sia la sera, la mattina o durante la pausa pranzo… prova a dedicare del tempo alla riflessione.
Ti puoi aiutare con delle strategie: scrivere un diario, fare una passeggiata, disegnare quello che provi, provare a meditare ascoltando il tuo respiro.
Sono tutte strategie che ti possono aiutare a stare nel momento presente, a comprendere quello che accade dentro di te e accogliere gli stati d’animo… anche i più indesiderati.
Il terzo passo per imparare a gestire le tue emozioni è quello di conoscere i meccanismi che le generano e le alimentano. Ricorda: tu hai un ruolo fondamentale nella loro nascita ed evoluzione. Le emozioni nascono sia per base innata, sia a seguito dell’interpretazione che dai agli eventi.
Con questo terzo consiglio voglio spronarti a conoscere meglio i tuoi pensieri e le tue azioni, prima e dopo la comparsa di un’emozione.
A questo scopo può essere utile iniziare a compilare una tabella provando a rispondere a queste domande, ogni qualvolta si presenta un’emozione o una reazione indesiderata.
Il penultimo passaggio per iniziare a gestire le tue emozioni consiste nel saperle comunicare. Come abbiamo già visto nel precedente articolo dedicato alla consapevolezza emotiva nei bambini (mettere il link) la capacità di esprimere i propri sentimenti e stati affettivi è la terza componente fondamentale del processo di autoregolazione. Informare chi ci sta attorno di come stiamo e di cosa stiamo provando è un importante passo che ci permette di:
Questa competenza fondamentale, che va allenata nel tempo, permette una maggiore elaborazione e la conclusione del ciclo dell’emozione.
Paradossalmente è proprio dando spazio ai nostri sentimenti che permettiamo al ciclo dell’emozione di completarsi e quindi esaurirsi.
Il rapporto che abbiamo con le nostre emozioni è personale e frutto di un processo costruito nel tempo.
Proprio per questo il cambiamento di prospettiva che propongo in questo articolo, ha bisogno di tempo per veder crescere i suoi frutti.
Prova a darti del tempo per sperimentare questi suggerimenti e, soprattutto, monitora i tuoi cambiamenti nel corso del tempo, provando ad osservarti da fuori, oppure, chiedendo il parere di una persona a te fidata.
Buon lavoro!
Dott.ssa Psicologa Evelyn Bettini – Trento
Il tema delle emozioni ha ispirato musicisti, attori, scrittori, poeti. Tutti si sono chiesti cosa fossero le emozioni, da dove arrivassero e come si manifestassero. Emozioni amiche o nemiche?
Stai studiando e all’improvviso inizi a piangere, senza controllo.
Sei al lavoro e la frase di un collega ti urta talmente tanto che alzi la voce e….. litigate. Anche se non volevi.
E' sera, sei stanco/a e non vedi l’ora di dormire. Ma quando ti metti a letto i pensieri iniziano a bussare alla porta e le preoccupazioni non ti lasciano prendere sonno.
Sono tutti esempi di come le emozioni prendono il sopravvento.
Quanto sarebbe bello avere una bacchetta magica in questi momenti e spazzare via queste brutte intruse?
Spesso nel mio studio a Trento incontro persone che mi chiedono di imparare a gestire le proprie emozioni.
Le emozioni sono uno stato di attivazione fisica e psicologica che si instaura a seguito dell’interpretazione da parte del soggetto di un evento, di un pensiero o di un ricordo. Hanno una durata breve e un valore adattivo, perchè costituiscono un messaggio che, se ascoltato, può orientare le nostre azioni.
Le emozioni quindi, servono. A livello evoluzionistico sono nate per uno scopo ben preciso:
Insomma ogni emozione è utile ed orientata ad uno scopo, è un’amica, se ascoltata. Quanto appena descritto rappresenta un aspetto universale delle emozioni, che riguarda ogni individuo, ogni cultura, ogni tempo storico senza distinzioni. Esistono però anche aspetti soggettivissimi nelle emozioni che proviamo. Non a caso poco sopra ho sottolineato la parola interpretazione. Ogni emozione può essere vista come una storia scritta da un individuo, in una determinata società, in un tempo storico preciso. La tristezza che prova una ragazza di 16 anni è diversa da quella di un uomo di 50.
Di fronte ad uno stesso evento, il gelato appena comprato che cade a terra, ad esempio, un bambino reagirà piangendo e disperandosi, un adulto dicendo una parolaccia o ridendoci sopra. Sia perchè le età e le storie sono diverse, sia perchè la società, con le sue idee, convenzioni e stereotipi, plasma il modo in cui una persona prova ed esprime le sue emozioni. Se immaginiamo le emozioni come storie e discorsi personali e unici, ci accorgiamo che non possiamo “trattare” allo stesso modo tutte le rabbie, tutte le tristezze, tutte le felicità. Esisterà la rabbia di Lucia, la felicità di Matteo e il disgusto di Fabio. E per ognuno di loro occorrerà approfondire storia, significati e idee che si sono costruite attorno al tema delle emozioni.
soprattutto quando ci troviamo in situazioni di scarso ascolto di sè stessi. Quando le emozioni vengono ignorate, sminuite e trattate come delle intruse, molto spesso prendono il sopravvento. È come se l’emozione dicesse: “Non mi vuoi ascoltare eh? Allora mi faccio sentire sempre di più! Ti infastidisco!”
quando viviamo momenti di stress, soprattutto se cronico. In quei momenti alcuni dei nostri bisogni fondamentali vengono ignorati e questo può portare il corpo e la mente a reagire all’improvviso. Attacchi di rabbia, pianto improvviso, sbalzi d’umore possono essere frequenti
quando non abbiamo imparato a regolare le nostre emozioni o abbiamo imparato modi disfunzionali di esprimerle. In questo caso, iniziare un percorso psicologico può essere utile, per andare ad individuare quali storie e significati abbiamo associato ad una particolare emozione.
Gestire le emozioni, insomma, è possibile. Per farlo occorre conoscerle, entrarci in contatto e dare loro un nome specifico. Capire come nascono in te, come evolvono, cosa ti permette di esprimerle, quali luoghi o persone ne facilitano la loro espressione. Tutti questi processi prendono il nome di: consapevolezza emotiva.
La consapevolezza emotiva è una competenza che viene acquisita nel tempo, già da piccini. Premi qui per leggere il mio articolo su come facilitare la consapevolezza emotiva nei propri figli oppure qui se invece vuoi avere dei consigli pratici su come allenarla in te.
Dott.ssa Psicologa Evelyn Bettini – Trento